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La corsa ai decoder è appena partita

televisione-digitale“La corsa ai decoder e’ appena partita – scrive Gianluca Vacchio per l’agenzia di stampa Il Velino –  e nella guerra digitale spunta l’outsider”. Il giornalista descrive uno scenario credibile della piccola rivoluzione che di qui a pochi anni ci costringerà a traslocare (alcuni lo hano già fatto o lo stanno facendo) dalla tv analogica a quella digitale.

Non è peregrina l’idea di un “decoder unico… che aggiunga l’uso di telefono e internet a banda larga; che non aggiunga la scocciatura di antenne o parabole; che consenta di accedere anche alla pay tv di Sky, Mediaset e quant’altro; che abbondi di alta definizione e interattivita’; e che soprattutto consenta di costruirsi un palinsesto fatto in casa con l’on-demand”.

Nessuno lo ha fatto ancora, ma potrebbe farlo….

Ecco l’articolo di Gianluca Vacchio:

La Rai che chiede a Rupert Murdoch valigie di euro per concedere a quasi cinque milioni di abbonati a Sky la visione dei canali “free”; Mediaset che si prepara dopo l’estate ad oscurare sul satellite Canale 5 (la rete piu’ vista) per irradiarlo – insieme al resto della programmazione free del “Biscione” – su una piattaforma satellitare alternativa che si chiamera’ TvSat; quasi 600 tv locali sul piede di guerra per accaparrarsi le frequenze utili a non farsi risucchiare dallo switch off.

La guerra digitale si appresta a lasciare sul campo della tv morti e feriti. Ma Telecom Italia, che per la verita’ sulla barella c’e’ gia’ da tempo, di armarsi per combattere con gli altri broadcaster non ne ha alcuna voglia.

 L’ad Franco Bernabe’, infatti, sul campo di battaglia della tv si sente un po’ “un abusivo”: tra il 2002 e il 2007 il suo Gruppo ha investito 870 milioni di euro e ne ha ricavati in cambio solo 360; il tutto senza calcolare i 250 milioni spesi per l’acquisto delle frequenze. E non a caso il “british” Bernabe’ ha dato mandato al suo “braccio armato” in TiMedia, il “rustico” Giovanni Stella (detto “il canaro”), di procedere con le cosiddette dismissioni. “Noi non abbiamo la vocazione del broadcaster. Non vogliamo fare il terzo o il quarto polo.

Crediamo che la tv – e’ il Bernabe’ pensiero – si stia evolvendo, il digitale terrestre e’ una fase, ma il futuro e’ l’Iptv” (Internet Protocol Television). Per questo Telecom investira’ quasi sette miliardi di euro nei prossimi tre anni nella rete. E per questo Telecom – che presto avra’ in soccorso un miliardo e mezzo stanziato dal governo proprio per la banda larga (e larghina) (“risposta importante, credo definitiva”) – gia’ sperimenta i 28 megabit. E se sul futuro della tv avesse ragione Bernabe’?

Appurato che un decoder, integrato o meno, per vedere la tv 21 milioni d’italiani dovranno pur averlo nel salotto, perche’ non prendere quello “unico”, in comodato d’uso e che permetta (a pochi euro) agli utenti di vedere il meglio di tutte le piattaforme (ad oggi gia’ oltre 200 canali).

Un decoder che aggiunga l’uso di telefono e internet a banda larga; che non aggiunga la scocciatura di antenne o parabole; che consenta di accedere anche alla pay tv di Sky, Mediaset e quant’altro; che abbondi di alta definizione e interattivita’; e che soprattutto consenta di costruirsi un palinsesto fatto in casa con l’on-demand.

La breve storia digitale italiana – decollata nel 2003 con Sky e arricchita a partire dal 2004 dal Dtt – racconta che per il momento questa scelta alternativa (considerando la scarsa diffusione della banda larga e quella appena cominciata dei nuovi decoder) l’hanno fatta solo 600 mila famiglie: 365 mila hanno scelto “Alice” di Telecom; circa 200 mila hanno sposato Fastweb; alcune decina di migliaia si sono accasati con Wind e l’Infostrada tv.

 Spiccioli per rendere il business sostenibile e dare la possibilita’ di produrre palinsesti originali. A gennaio e’ nata l’Associazione Italiana degli operatori Iptv per lanciare la sfida ai “giganti”: la corsa ai decoder e’ appena partita. E nella guerra digitale spunta l’outsider…

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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