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WikiLeaks: i russi, i russi, gli americani…e i giornalisti

Cantava Lucio Dalla in Futura: “…i russi, i russi gli americani… aspettiamo senza avere paura, domani”. Fa pensare a WikiLeaks, buca delle lettere di tutte le gole profonde del mondo, sito prezioso per i giornalisti che vogliono fare controinformazione attingendo a fonti preziose (da verificare e riverificare, ovviamente), altrimenti irraggiungibili o difficilmente raggiungibili. WikiLeaks non piace ai potenti e anche a molti giornalisti, più preoccupati del cui prodest che della qualità e veridicità delle notizie.

Il Pentagono chiuderebbe volentieri il sito, dopo la pubblicazione dei rapporti sulle guerre in Iraq e Afghanistan. I russi, invece, fanno minacce preventive. Quando si è diffusa la voce della possibile diffusioni di documenti segreti che riguardano Mosca, il servizio segreto FSB ha fatto sapere che WikiLeaks “può essere reso inaccessibile per sempre”.

Gli stessi russi, d’altronde, chiedono agli Stati Uniti di aprire un’indagine dettagliata sulle accuse contenute nei 400 mila documenti pubblicati da WikiLeaks sulla guerra in Iraq. ”Le autorità statunitensi hanno la responsabilità di condurre un’indagine approfondita, indipendente e trasparente su tutte le relazioni apparse sui media”, si legge in una nota ufficiale del ministero degli Esteri russo. Due pesi e due misure?

La Gran Bretagna reagisce diversamente. Se da un lato l’ex premier laburista Tony Blair, a capo del governo quando il paese ha deciso di partecipare alla guerra in Iraq, getta acqua sul fuoco, sostenendo che “non c’è niente di nuovo”, il neo vice premier Nick Clegg va giù duro. In una dichiarazione alla Bbc , Clegg definisce “estremamente gravi” le accuse sugli commessi in Iraq contenute nei circa 400mila documenti Usa.

“Possiamo deplorare il modo in cui sono avvenute queste fughe di notizie, ma ritengo che le accuse mosse siano estremamente gravi”, ha detto Clegg. “Credo che l’amministrazione americana fornirà la sua risposta. Non spetta a noi dire loro come agire”, ha aggiunto il vicepremier liberal-democratico, noto per la sua opposizione all’intervento britannico nella guerra in Iraq, bollata come “illegale”.

Per tornare al ruolo di WikiLeaks, il sito di Julian Assange – prima di mettere in rete i dossier – sottopone la documentazione a giornalisti selezionati di volta in volta tra le testate più prestigiose in vari paesi. Nel caso dell’Afghanistan, sono stati scelti il New York Times, il Guardian e Spiegel.

Il dossier iracheno, invece, è stato visionato in anticipo da New York Times, Guardian, Der Spiegel, Al-Jazira e dal sito francese di giornalismo digitale OWNI.

Dunque, giornalisti di professione, hanno avuto modo di verificare la documentazione presso altre fonti, prima di pubblicare gli articoli e mandare in onda i servizi.

Una procedura corretta, che assolve WikiLeaks da ogni accusa di strumentalizzazione e che mette al giusto posto la funzione del sito di controinformazione.

Ogni giornalista può fare la sua scelta deontologica. C’è chi copia e incolla e chi invece approfondisce, prima di pubblicare.

Vive la différence!

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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