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Google Suggest: la diffamazione è un venticello…

Questa storia della diffamazione via motore di ricerca mi ha fatto tornare in mente l’aria del Barbiere di Siviglia: “La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente, incomincia a sussurrar”. Può un motore di ricerca essere diffamatorio? Si, se i suoi algoritmi matematici suggeriscono affinità criminali con il nome della persona cercata. Google Suggest, la funzione di completamento automatico, ha combinato un guaio, come racconta l’avvocato Sabrina Peron.  

C’era un imprenditore nel settore finanziario che, quando digitava il suo nome e cognome, constatava che i risultati della ricerca  includevano le parole “truffa” o “truffatore”.  L’uomo si è rivolto alla magistratura e il Tribunale di Milano ha ordinato a Google di “provvedere alla rimozione dal proprio software suggest/Autocomplete dell’associazione tra il nome del ricorrente e le parole truffa e truffatore, fissando altresì una somma per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza all’ordine così impartito”.

Una cosa davvero assurda, inaccettabile.

L’avvocato dell’imprenditore, Carlo Piana, sul suo sito sostiene che “non si tratta affatto di richiesta di censura, come ho fatto notare con largo anticipo alla società citata in giudizio, in quanto le allegazioni del denunciante sono state pienamente discusse prima di procedere in tribunale, e le richieste erano e rimangono solo per due interventi eccezionali. Tutti i casi sono diversi, quindi non vi è alcuna garanzia che casi simili possano portare allo stesso risultato”.

Aggiunge l’avv. Piana: “Google ha sostenuto che non poteva essere ritenuta responsabile in quanto è un “hosting provider”, ma abbiamo dimostrato che si tratta di contenuti prodotti da loro anche attraverso strumenti automatizzati (per inciso, di sicuro alcuni contenuti vengono filtrati, compresi i termini che sono noti per essere utilizzati per distribuire materiale che viola il diritto d’autore). Quindi, in questo caso, il motore di ricerca non può avvalersi dell’esimente della disposizione della Direttiva europea eCommerce”.

A ZDNet Google ha dichiarato delusione per la decisione del Tribunale di Milano: “Riteniamo che Google non dovrebbe essere ritenuto responsabile per i termini che compaiono nel completamento automatico poiché si basano su algoritmi informatici determinati dallericerche degli utenti precedenti, non da Google. Attualmente stiamo rivedendo le nostre opzioni.”

Il che significa che Google potrebbe ridimensionare o modificare drasticamente il suo Suggest. Una bella rogna.

Per il giurista Guido Scorza, esperto di mondo digitale, l’impostazione dei giudici di Milano “non è condivisibile”. “Diffamare qualcuno – scrive Scorza – significa offenderlo e per farlo è, evidentemente, necessario utilizzare le parole per comporre un pensiero di senso compiuto. Una sequenza di tre parole, senza nessun collegamento logico né punteggiatura, su una pagina bianca e poco sotto un campo di ricerca, nel 2011, non costituiscono una frase di senso compiuto né, tantomeno, una frase di contenuto offensivo”.

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Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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