Il Blog sta subendo alcuni interventi di manutenzione e aggiornamento, pertanto nei prossimi giorni si potrebbero riscontrare rallentamenti o malfunzionamenti.Ci scusiamo per il disagio.

Social Network geospaziale (seconda parte)

Nel post precedente vi ho parlato di Titan. Adesso vi presento l’azienda che lo ha creato. Giovanni Sylos Labini è l’amministratore delegato di Planetek Italia. E’ stato direttore del Centro di Geodesia Spaziale di Matera dell’Agenzia Spaziale Italiana. Oggi è anche presidente dell’AIPAS, l’Associazione Italiana Piccole e Medie Imprese dell’Aereospazio. Domande e risposte, in questa intervista:

Lavorare nell’innovazione a Bari, nel sud, fa differenza? Una scelta o una necessità? Quali i punti di debolezza e, se ci sono, di forza?

 Credo che ci sia una differenza tra lavorare nel Sud in generale e a Bari, per non andare troppo fuori dal seminato mi riferirei a Bari che conosco meglio. Per me ha rappresentato una scelta precisa, sia per ragioni culturali che emotive, ma non per questo priva di un suo razionale.

 Quando ho deciso di lasciare l’Agenzia Spaziale Italiana l’ho fatto con in mente l’idea di costruire una società specializzata nelle applicazioni dei sistemi di Osservazione della Terra satellitari. Considerato che questa è un’industria nuova non c’erano grandi vantaggi ad una localizzazione in realtà più avanzate, anzi in quei contesti, più o meno all’epoca della fondazione di Planetek Italia nel 1994-1995 vi era una grossa competizione su alcune delle competenze di cui avevamo bisogno.

 L’unico vero limite che abbiamo scontato è una certa arretratezza dell’infrastruttura, in senso lato, quindi l’assenza di vere banche d’affari, la scarsità dei voli diretti per le destinazioni estere delle nostre collaborazioni, la ridotta domanda prossima geograficamente dei nostri prodotti (considera che tuttora molti non sanno neanche che esistiamo a Bari e in Puglia).

 Accanto a queste debolezze alcuni importanti punti di forza: una Università con buone competenze nei settori di nostro interesse, un regime di aiuti alla ricerca e sviluppo (pur con tutti i suoi limiti) più favorevole, una qualità della vita migliore, costi più bassi, un mercato potenziale molto vasto.

Cos’è Planetek, da quando esiste, quanta gente ci lavora, le collaborazioni nazionali e internazionali

 Planetek Italia come dicevo è stata fondata con l’idea di colmare in Italia l’assenza di una società orientata ai servizi di Osservazione della Terra. Per intenderci esistevano già società che per diversi versi puntavano a questo mercato, ma almeno nel 1994, vi era molta enfasi sul cosiddetto technology push e poca attenzione allo user pull. Il modello di business sul quale in questi 14 anni abbiamo trasformato una start up di 4 persone in un Gruppo di almeno 3 società con oltre 60 addetti, è stato quello di costruire un circolo virtuoso tra utenti, innovazione e tecnologia.

 Un altro elemento di successo è stato quello di offrire comunque soluzioni di avanguardia grazie al continuo lavoro nei grandi programmi Europei di ricerca e sviluppo, sempre molto allineati alle strategie aziendali, nei quali in molti casi abbiamo coinvolto gli stessi futuri clienti. Questi programmi hanno in genere il pregio di essere estremamente selettivi, non solo in termini di qualità dei prodotti e dei servizi richiesti, ma anche sul controllo dei processi per realizzarli.

 In questi anni oltre che a lavorare direttamente per l’ESA (Agenzia Spaziale Europea), l’Unione Europea, l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), abbiamo realizzato partnership con le principali imprese Europee del settore Spaziale quali Thales Alenia Space, EADS/ Astrium per citare le più grandi. Siamo anche molto noti per la qualità del supporto agli utenti per esempio nell’accesso a dati di Osservazione della Terra, o sui principali software di elaborazione e distribuzione dei Dati, con capacità che vanno dai grandi sistemi corporate sino a sistemi più semplici adatti a medie pubbliche amministrazioni.

A cosa state lavorando adesso? Qual è il prossimo obiettivo?

 Agli inizi del 2000 sono emerse le prime applicazioni webgis in grado di servire un grande numero di utenti attraverso piattaforme software molto semplificate. Un ottimo esempio di questi prodotti è costituito da Atlante Italiano, che basato su di una nuova tecnologia di compressione dei dati consente di accedere ad archivi di immagini in modo molto efficace.

 Nel 2006, Google inaugura Google Earth, un servizio web basato su un sistema molto simile a quello di Atlante Italiano, poco dopo segue Microsoft con Virtual Earth.

 Nello stesso periodo anche nel processo di acquisizione dei dati cambia molto, si affermano sistemi rapidi di acquisizione digitale da piattaforma aerea, aumenta la loro risoluzione, cioè la capacità di distinguere particolari al suolo, emergono nuovi sensori ad esempio il Lidar altimetrico e l’iperspettrale.

 Dal loro canto anche le piattaforme satellitari si evolvono, verso sistemi più operativi con caratteristiche commerciali e risoluzione simile a quella ottenibile da piattaforme aeree.

 Anche dal punto di vista economico e commerciale in questi ultimi otto anni sono cambiate molte cose, i dati iniziano ad essere una “commodity”, il loro prezzo, governato quindi dalla domanda e dall’offerta stà rapidamente calando.

 Nel frattempo il mondo della Geomatica prosegue indisturbato nell’introdurre nuove tecnologie nell’ambito di vecchie applicazioni seguendo un approccio guidato dalle capacità dei prodotti disponibili ma non orientato agli effettivi bisogni degli utenti finali.

La domanda che intendiamo porci è la seguente: L’evoluzione tecnologica, i driver economici e di mercato, i nuovi utilizzi possibili cambiano o no il modello di business per queste tecnologie? Le applicazioni, o meglio il progetto e la realizzazione delle applicazioni è comunque lo stesso?

Che effetti hanno le trasformazioni sociali: l’emergere delle reti di utenti (i social networks), delle comunità virtuali, la consapevolezza sull’ambiente e il territorio?

La geomatica come deve tenere in conto fenomeni emergenti di innovazione aperti (open innovation)?

 Secondo noi la risposta è nell’impostare in maniera completamente nuova la catena del valore, non pensando più di realizzare prodotti per clienti, ma spingersi più in là nel coinvolgere gli utenti all’interno della nostra catena del valore. In uno dei nostri progetti più avanzati stiamo quindi sperimentando un approccio basato sul Design orientato a rispondere a questi requisiti. Come di consueto non lo stiamo facendo da soli, ma coinvolgendo gruppi ricerca Universitari, potenziali Clienti, cercando di non guardare ai problemi attraverso le lenti deformanti dei nostri prodotti, ma offrendo strumenti ai quali i nostri utenti possono accedere per realizzare i loro desideri, le loro applicazioni.

Se ci pensiamo un attimo, attività molto più materiali dello sviluppo software hanno dimostrato che l’approccio del Design (il cosiddetto Design Thinking), può aggiungere valore competitivo ad oggetti banali come un cestino per la carta straccia…pensiamo all’effetto su un oggetto immateriale come un software geomatico.

In realtà vogliamo diventare la prima società Italiana per qualità del Design del Software, e quindi la prima al mondo…

Pubblicato da Pino Bruno

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

Alcune delle mie Pubblicazioni
Stay in Touch

Sono presente anche sui seguenti social networks :

Calendario
Luglio 2008
L M M G V S D
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
28293031