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Whistleblower italiani: la legge li protegge ma chi se li fila?

Più di centomila cittadini statunitensi hanno firmato, sul sito della Casa Bianca, la petizione per chiedere che Edward Snowden non venga perseguito. E’ un eroe nazionale, dicono i sottoscrittori. Per la democratica Nancy Pelosi, la talpa del caso Datagate è invece un traditore. Eppure negli Stati Uniti ci sono molte leggi federali e statali che proteggono i lavoratori dipendenti che denunciano comportamenti scorretti o si rifiutano di obbedire a direttive illegali. Ci sono il False Claims Act del 1863, il Lloyd–La Follette Act del 1912, il Whistleblower Protection Act del 1989.

Anche in Italia c’è una norma che dovrebbe proteggere i whistleblower: è la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).

Whistleblower

 

Lo prevede l’articolo 1, comma 51 (inserito come art. 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001):

51. (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). – 1.  Fuori  dei  casi  di  responsabilità  a  titolo  di calunnia o  diffamazione,  ovvero  per  lo  stesso  titolo  ai  sensi dell’articolo 2043 del codice  civile,  il  pubblico  dipendente  che denuncia all’autorità giudiziaria o alla  Corte  dei  conti,  ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte  illecite  di  cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro,  non  può essere  sanzionato,   licenziato   o   sottoposto   ad   una   misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati  direttamente  o  indirettamente  alla denuncia”.

Diversi commentatori hanno criticato l’intervento del legislatore italiano, ritenendolo insufficiente. Basti pensare – dicono i giuristi dello studio legale Fioriglio-Croari, specializzato in diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie – che a una questione tanto delicata quale quella dei whistleblower viene dedicato solo l’articolo di cui sopra, che comunque non la disciplina in modo adeguato e organico. In tal modo, del resto, la valutazione di eventuali casi viene rimessa sostanzialmente alla prudente valutazione dell’interprete (e del giudice del caso). Eppure, in simili ipotesi, sarebbe necessario, più che opportuno, definire casi e procedure specifiche e dettagliate in modo tale da dare maggiore certezza a chi vuole “esporsi” per denunciare un atto illecito. Con la normativa attuale, non sembra che siano presenti delle garanzie effettive, il che può dissuadere un eventuale denunciante (e non solo per l’assenza di meccanismi premiali o promozionali nei suoi confronti). Oltretutto, la norma è riferita esplicitamente solo ai dipendenti pubblici: e quelli privati?

Quanti sono i whistleblower italiani? Chi sono? La legge li tutela davvero? Si direbbe di no, a giudicare da ciò che è successo a Eugenia Addorisio. La sua vicenda è stata raccontata da Giuliano Marrucci nella puntata di Report, su Rai Tre, del 19 maggio scorso, prima che il termine whistleblower fosse sdoganato dal caso Snowden.

“Voleva solo fare quello per cui era pagata, l’ispettrice per la sicurezza sul lavoro della Asl di Foggia. Glielo hanno impedito, e allora Eugenia Addorisio ha denunciato tutti. Cinque anni dopo gli arresti, con il processo in corso, sono tutti di nuovo al loro posto, a parte lei, che è stata rimossa dall’incarico, e ora fa l’infermiera”.

Il reportage va visto dall’inizio alla fine. La trascrizione – come usa fare Report – è integrale. Una piccola storia, certamente, rispetto allo scandalo planetario del Datagate. Qui – a parte Report – nessuno si indigna o scrive petizioni.

Eroi normali, che non fanno notizia. Eppure al cinema ci piacciono tanto, come Jack Godell/Jack Lemmon nel film La sindrome cinese. Al cinema, appunto.

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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