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Class action Petruzzelli

Intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno

(Dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 30 settembre 2009)

La Class Action

La causa «di massa» al tribunale civile ha indotto lo Stato a evitare la riconsegna del teatro ai Messeni. E’ merito della class action avviata da due legali baresi se lo Stato ha preferito consegnare il teatro Petruzzelli ricostruiti alla Fondazione, attraverso il Comune, piuttosto che ai proprietari, gli eredi Messeni Nemagna. Intervista di Nicola Signorile all’avv. Luigi Paccione.

Siete stati invitati al concerto inaugurale del Petruzzelli che riapre?

«No, ci mancherebbe, non credo davvero che fossimo nella lista».

Ma siete riusciti comunque a procurarvi un paio degli ambitissimi biglietti per domenica?

«Nutriamo per l’occasione il massimo disinteresse».

I «disertori» del galà del Petruzzelli si chiamano Luigi Paccione e Alessio Carlucci; professione: avvocati. Sono i promotori della «class action procedimentale», sottoscritta da centinaia di cittadini, che mira a veder proclamato in un’aula di tribunale che il Petruzzelli è già di proprietà pubblica, che non appartiene ai Messeni Nemagna nonostante la sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato l’esproprio. Il Petruzzelli è pubblico perché pubblici sono i denari – 63 milioni di euro – spesi per ricostruirlo. Questa, in soldoni, la tesi della «class action», che sarebbe uno dei motivi («il giudizio pendente») per cui lo Stato – contrariamente a quel che era stato pattuito con il Protocollo del 2002 – non ha voluto consegnare il politeama agli eredi Messeni Nemagna.

Allora Paccione, è colpa o merito vostro ?

«Noi siamo intervenuti perché la questione-Petruzzelli si andava definendo come un grande torto di massa a carico dei contribuenti, perché si faceva carico all’erario pubblico della ricostruzione di un teatro privato. Noi siamo intervenuti sostenendo che il teatro è del Comune di Bari e abbiamo aperto una azione giudiziaria – che avrebbe dovuto fare il Comune – assumendoci la responsabilità di tutto quel che ora sta accadendo e di cui però non abbiano riscontri documentali. Né siamo stati contattati da alcuno degli enti coinvolti».

Come giudica la situazione attuale che vede il teatro affidato alla Fondazione lirica non dai Messeni Nemagna ma dal Comune?

«Quel che accade ha una sua logica. La gestione del caso – Petruzzelli è lo specchio del tempo che viviamo, con un ceto politico assolutamente inadeguato che spesso risponde a logiche distanti dall’interesse pubblico e sembra invece orientato verso la tutela di interessi particolari».

Nel consegnare l’immobile conteso al Comune di Bari, la direzione regionale dei Beni culturali avrebbe fatto riferimento a contenziosi pendenti, tra cui la «class action». A che punto è la storia, sul piano strettamente giudiziario?

«Io mi sono sostituito al Comune e l’avvocato Carlucci alla Provincia: abbiamo aperto un contenzioso davanti al tribunale civile di Bari per veder dichiarata la proprietà pubblica del Petruzzelli».

Quando si terrà la prima udienza?

«Non è stata ancora fissata, probabilmente sarà fra dicembre e gennaio».

Ma, intanto, cosa pensa dell’affidamento alla Fondazione?

«È bene che si cominci a dirlo con chiarezza: la Fondazione è un bel carrozzone pubblico che ha alla testa il sindaco di Bari il quale versa in una condizione di conflitto di interessi. Ma a parte questo non dimentichiamo che la Fondazione è quella istituzione in cui con il Protocollo del 2002 si prevedeva una consistente presenza del ceto politico nella gestione del teatro».

Contesta il ruolo della Fondazione?

«Il ruolo non interessa granché, ma rimangono ferme tutte le perplessità sul fatto che l’organismo chiamato a gestire un teatro che si vuole di respiro europeo debba essere gestito da un soggetto nominato dalle parti politiche, con le conseguenze immaginabili».

Quali?

«Stare dentro la Fondazione significa utilizzare strumenti che consentono di raccogliere consenso elettorale. Ed è questa perversa ricerca del consenso alla base delle scelte di amministratori che non tutelano l’interesse pubblico. Essi addirittura inducono a credere che sia normalità ciò che invece appare come una clamorosa assurdità: spendere una enorme somma di denaro pubblico per ricostruire interamente un bene che si vuole privato e per giunta pagare ai presunti proprietari un oneroso canone di affitto per quarant’anni».

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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