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Dolce Stil Web

Su Repubblica la prima recensione di “Dolce Stil Web”. L’ha scritta Silvana Mazzocchi per la sua rubrica Passaparola: “Non serve fare gli snob, l’esercito degli utenti di internet è sempre più vasto e spesso si usa la rete senza saperlo, come capita telefonando dall’apparecchio fisso di casa. Navigare è del resto ormai indispensabile per informarsi, dialogare, accedere ai servizi, fare shopping, sapere che tempo fa… E dunque parole come zippare, chattare, o blobbare sono entrate a far parte della nostra vita. Allora impariamo a conoscerle, a usarle al meglio; liberiamole da quella patina di mistero che ci fa diffidare di loro. Mettiamo da parte quella resistenza istintiva che si prova verso qualunque cosa si è costretti a subire. Impariamo a difenderci dagli equivoci informatici. E, perché no, divertiamoci.

Scopriremo che il web è regolato da neologismi, che però sono carichi di storie, significati, curiosità. Tutti i dettagli delle “parole al tempo di internet” li racconta Dolce stil web, (Sperling&Kupfer, in uscita il 7 aprile), utilissimo e godibile libro di Pino Bruno, giornalista scientifico e autore di numerosi testi di informatica. Con un linguaggio chiaro e diretto, Bruno svela i misteri di quello slang della rete di cui nessuno può fare più a meno e che è un misto di simboli e di neologismi, di inglese e di spagnolo.

Parola dopo parola, scopriremo le storie, le circostanze o i ragionamenti che stanno dietro a termini come uploadare o craccare. E che significato ha sniffer (è un software in grado di intercettare e controllare i dati che viaggiano su una rete telematica) o il deep linking, che è poi il linkare in profondità o in modo scorretto. Dolce stil web è più di un manuale. E’ un simpatico e indispensabile compagno per navigare consapevolmente.
Il web è il nuovo mondo, che tipo di linguaggio usa?
“Il web, ma direi tutto il mondo digitale, sta imponendo il suo linguaggio anche a chi non lo frequenta o lo snobba. Un lessico poco famigliare, fatto di inglese, spagnolo, tecnichese, frasi idiomatiche, slang, acronimi. Anche chi non usa il mouse è costretto a sapere cos’è il pin, altrimenti il bancomat non caccia fuori le banconote. Non serve il computer per chattare, spedire un sms o scaricare la suoneria. Ogni epoca raccoglie ciò che semina. Nel tredicesimo secolo il Dolce Stil Novo riuscì nel tentativo di svincolare la lingua dal volgare e far decollare lo stile della scrittura, anche con l’invenzione di metafore e simbolismi. Oggi forse accade il contrario. Ecco la provocazione del titolo del mio libro. Una quindicina di anni fa il linguaggio digitale era riservato a pochi iniziati (fanatici, se vi garba). Adesso è entrato a far parte dei vocabolari e della vita comune. Non c’è attività o professione che non sia costretta ogni giorno a fare i conti con le reti telematiche. Usiamo internet senza saperlo, anche quando telefoniamo da casa, perché la nostra voce corre sul VOIP. Non dobbiamo avere paura di questo modo di esprimersi, e nemmeno storcere troppo il naso. “Radio, tv, sms, internet, non stanno rovinando l’italiano. Sfatiamo questa convinzione”, ha detto qualche mese fa Nicoletta Maraschio, primo presidente donna dell’Accademia della Crusca dal 1582. Come non essere d’accordo? Fa peggio alla qualità del lessico il neologismo attenzionare oppure la parola scannerizzare?”.

Le parole della rete, avverte Gianrico Carofiglio nella prefazione, hanno dietro altrettante storie…
“Storie di vita, umanissime. Alcune affascinanti, come i racconti dei grandi scrittori. Perché tutti i linguaggi sono permeati dalle cose che accadono o si immagina stiano per accadere. Giulio Verne ci ha parlato con largo anticipo di razzi, elicotteri e sottomarini. Ancora oggi gli equipaggi chiamano battelli i sommergibili, così come faceva Nemo con il suo Nautilus, i cui motori erano elettrici, alimentati da batterie al sodio-mercurio. Per tornare ai nostri giorni, quanti conoscono l’etimologia di Bluetooth, ormai in uso su tutti i cellulari? Tecnologia nordica e nome che si ispira ad Aroldo Primo detto Dente Azzurro, che più di mille anni fa riuscì a riunire sotto il suo regno i litigiosi e disuniti danesi. Il Bluetooth fa più o meno lo stesso, cioè riesce a far dialogare tra loro, senza fili, apparati diversi come auricolari, stampanti, vivavoce, antenne GPS. E i Black Hat, i pirati informatici cattivi, non prendono il nome dai cappelli a larghe tese dei pistoleri del West?”.

Dolce stil web, a chi è destinato?
“A tutti, proprio a tutti. Forse non piacerà agli informatici, perché ho cercato di essere semplice, chiaro, dribblando il tecnichese. Il mondo è sempre stato diviso tra chi può usare la tecnologia (dalla scoperta del fuoco in poi) e chi ne è escluso. Oggi si chiama divario digitale, digital divide. Una separazione accentuata dalla scarsa comprensione del lessico. Non è soltanto un problema generazionale. C’è anche molta spocchia e superficialità. La maggior parte dei giornalisti si ostina a definire hacker i delinquenti che operano in rete. Quelli cattivi, come dicevo poco fa, sono i cracker, i Black Hat. Gli hacker, invece, agiscono a buon fine. Sono pirati etici, fanno i Robin Hood. Tolgono ai malvagi delle multinazionali e distribuiscono la conoscenza. Ecco perché è importante conoscere il linguaggio digitale. E’ meglio usare la tecnologia con consapevolezza, per non essere costretti a subirla”.

Silvana Mazzocchi

La Repubblica 3 aprile 2009

Pubblicato da Pino Bruno

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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