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La PEC su misura per Poste Italiane

La Posta Elettronica Certificata (PEC) all’italiana appare sempre più un monstre giuridico-burocratico. La Cec-Pac (Comunicazione elettronica certificata tra PA e cittadino), poi, sembra fatta apposta per complicare la vita del cittadino digitale. Oggi il Corriere delle Comunicazioni  torna sull’argomento, affrontato in questo blog il 17 agosto scorso.

L’autunno caldo della Pec Un bando a misura di Poste

Sotto attacco le procedure di gara per la mail certificata: requisiti troppo limitativi

Autunno caldo in vista sul fronte delle comunicazioni digitali tra PA e cittadini. Entro la fine di questo mese partirà – Inps e Aci stanno aspettando l’ok del ministero della PA e Innovazione – la sperimentazione sulla Posta elettronica certificata. Ma la sperimentazione, ancora prima di essere lanciata, è già bersaglio di critiche. Legate al Disciplinare di gara pubblicato lo scorso agosto, che contiene specifiche sui requisiti tecnici talmente stringenti da ridurre all’osso il numero delle aziende in grado di partecipare alla gara per diventare concessionari. In barba a quel principio di concorrenza che tanto piace al ministro Brunetta.

Il testo varato dal ministero della PA e Innovazione prevede infatti che possano iscriversi alla gara quelle imprese che abbiano realizzato servizi di gestione di scambio di dati informatici, di posta elettronica o Pec, di gestione di software applicativi e di assistenza ai clienti per almeno 15 milioni di euro nell’ultimo quadriennio e almeno cinque nell’ultimo anno. E inoltre – e qui la stretta al numero dei candidati possibili – viene richiesta una rete di sportelli in grado di assicurare l’accesso in almeno l’80% dei Comuni italiani con popolazione residente superiore a 10mila abitanti, con orario di apertura al pubblico dal lunedì al sabato almeno dalla 9 alle 13.

“Ma a me, di società candidabili a queste condizioni – dice al Corriere delle Comunicazioni, Andrea Lisi, presidente dell’Anorc (Associazione nazionale operatori e responsabili della conservazione sostitutiva) – viene in mente una sola società!”. Ovvero Poste italiane, unica in grado di soddisfare queste caratteristiche e, stando così le cose, l’unica a poter mettere le mani su un progetto per il quale sono stati stanziati circa 50 milioni di euro. Milioni che verranno pagati dai contribuenti cittadini italiani, ai quali invece era stato promesso un servizio totalmente gratuito. Gli utenti, spiega Lisi, andrebbero poi a pagare anche quei servizi accessori aggiuntivi che il concessionario potrebbe decidere di associare a quello base di mail certificata.”Il disciplinare – ribadisce – prevede anche questa possibilità”.

Oltre all’affaire Poste, la Pec made in Italy si trova  a dover affrontare anche “problemi di identità”. Il bando non parla infatti di una casella di Posta certificata ma di una Cec-Pac (Comunicazione elettronica certificata tra PA e cittadino), utile solo nelle comunicazioni tra utenti ed enti pubblici. “Il servizio, piuttosto che una vera Pec, sembra uno di quegli strumenti alternativi alla Pec previsti dalla legge 2/2009 – rimarca ancora il presidente dell’Anorc -. Questo provvedimento ha reso possibile, accanto alla Pec, altri sistemi di trasmissione elettronica dei messaggi che certifichino la data e l’ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e garantiscano l’integrità del contenuto delle comunicazioni trasmesse e ricevute, assicurando l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali”.
In altre parole la nuova casella non sarà universale e gli utenti – imprese o cittadini – ne dovranno acquistare un’altra, stavolta a titolo oneroso, per utilizzarla per trasmettere info e documenti a strutture e uffici diversi da quelli pubblici. Oppure chiedere al futuro concessionario di aggiungere servizi ulteriori che la rendano utilizzabile anche nei rapporti con altre realtà, anche private (commercialisti, avvocati etc.).

Altra questione in ballo, la privacy. Lo stesso bando prevede che, associato alla Cec-Pac, ci sia un fascicolo personale elettronico, le cui funzioni, però, non sono specificate. Ovvero non è chiaro a cosa possa servire e come sarà tutelata la privacy dei dati eventualmente inseriti.

A puntare il dito contro la Pec che verrà, anche i consumatori. Adiconsum è preoccupata dell´impatto che “una Pec di fatto pagata dai contribuenti ed imposta dall’alto possa creare in un Paese colpito dalle conseguenze della crisi economica in atto nonché da un pesante digital divide strutturale e culturale – spiega al Corriere delle Comunicazioni, Paolo Landi, segretario generale di Adiconsum -. Inoltre abbiamo rilevato che questa simil-Pec non è interoperabile world wide. Sostanzialmente inutile al di fuori dell´Italia: in futuro potrebbe essere rigettata dalla Ue”. In deroga a quanto previsto dalla suddetta legge 2/2009. Una Pec “non Pec” che doveva essere “regalata”, ma che sarà pagata da tutti contribuenti. Una Pec che consentirà al cittadino di comunicare solo con la PA. Una Pec che nascerà in barba alla concorrenza e al mercato. E infine una Pec non interoperabile fuori dai confini nazionali. C’è da scommettere che per la “rivoluzione in corso” del ministro della PA  e Innovazione Renato Brunetta si prospetti un autunno caldo. Anzi bollente. 

14 settembre 2009

di Federica Meta – Corriere delle Comunicazioni

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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