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Il cielo sopra Pechino è bianco sporco

Il cielo sopra Pechino è bianco sporco. La nuvola di smog e calore umido nasconde le cime dei grattacieli e preoccupa gli organizzatori delle Olimpiadi. Manca poco più di un mese all’avvio dei giochi quando la delegazione dell’Ordine nazionale dei giornalisti, guidata dal presidente Lorenzo del Boca, varca la soglia del Comitato Organizzatore di Beijing 2008. L’ingresso è guardato a vista da due soldati. E’ un obiettivo strategico e le misure di sicurezza sono imponenti. Nella hall il ritmo è frenetico. Il countdown scandisce giorni, ore e secondi. E’ una corsa contro il tempo, ci dice Il vicedirettore del Dipartimento Media, Sun Weide, ma tutti gli impianti saranno pronti in anticipo rispetto alle previsioni. Più tardi, la visita ai cantieri confermerà l’ottimismo del giornalista. Il grande stadio – un gigantesco nido di uccello avvolto da una rete di acciaio – è quasi completato, così come il centro acquatico, ricoperto di bolle quadrate luccicanti. Sull’altissima torre di controllo si arrampicano come formiche gli operai. I pechinesi li chiamano laobaixin, sono gli immigrati venuti dalle campagne in cerca di fortuna. Dormono nei cantieri e lavorano a turno, ventiquattro ore su ventiquattro. A loro si affiancano centomila volontari, dice Sun Weide. Sono trentasette gli impianti olimpionici, tutti costruiti intorno ai campus universitari, per essere utilizzati al meglio anche dopo i giochi.

Pechino sarà invasa pacificamente da cinquecentomila visitatori, ventunomilaseicento giornalisti, millecinquecento atleti più i loro accompagnatori. Già sette milioni i biglietti venduti.  La preoccupazione più grande, ammette il vicedirettore del Dipartimento Media, è l’inquinamento. Sono stati investiti 14 miliardi di euro per il risanamento dell’ambiente e tutti gli organi di informazione sono impegnati nella campagna di sensibilizzazione per il risparmio energetico e il ritorno alle biciclette e ai mezzi pubblici, almeno fino alla fine delle Olimpiadi. Sono in costruzione molte piste ciclabili e quattro nuove linee della metropolitana. Già molte fabbriche, le più inquinanti, sono state chiuse, e le autorità di Pechino hanno imposto targhe alterne per la circolazione dei mezzi privati e il blocco delle auto più vecchie. Misure impopolari, per un popolo che ha conquistato la macchina privata soltanto da qualche anno, ma è più forte – almeno così dicono le informazioni ufficiali – l’orgoglio nazionale per la prima Olimpiade cinese. Un sogno che si realizza esattamente dopo un secolo, dice Sun Weide, da quel giorno del 1908 in cui una rivista di Shangai lanciò la sua proposta. A quando le Olimpiadi in Cina? Se la campagna antinquinamento avrà effetto lo vedremo il giorno dell’inaugurazione. Per le strade si vedono tantissime biciclette, anche elettriche, e lunghe code alle fermate di autobus e metropolitana. Auto e camion intasano comunque le strrade e i tempi di percorrenza sono lunghissimi.

Tra i grattacieli avvolti dalla nuvola di smog c’è quello del Beijing Daily Group, uno dei più grandi gruppi editoriali del paese. Dieci quotidiani, tre periodici e due siti internet, sette milioni di copie vendute ogni giorno. La proprietà è statale, ma il governo non interviene con finanziamenti, dice il presidente del gruppo, Mei Ninghua. Gli editori hanno mano libera nel management e possono dunque realizzare profitti. Chi non ce la fa a stare sul mercato chiude o viene assorbito da altri gruppi. Le vendite dei quotidiani, cinquanta centesimi di yuan la copia (cinque centesimi di euro, prezzo politico imposto dal governo), coprono il venti per cento delle entrate. Il resto è pubblicità.

Siamo ospiti dell’All-China Journalist Association, l’organizzazione professionale fondata nel 1937 a Shanghai dal Partito Comunista Cinese, alla quale aderiscono circa settecentomila giornalisti. Non è né Ordine, né Sindacato, ma un’associazione che ha il compito di mantenere l’equilibrio tra le esigenze dell’informazione, del partito e del governo. “Serving the party and the government and carrying out the task of leading public opinion in the right direction“, si legge in un documento ufficiale del settimo congresso dell’organizzazione. I leader di All-China Journalist Association sono molto attivi nella promozione di scambi culturali con i giornalisti del resto del mondo. Negli ultimi tempi hanno incrinato il muro, politico e ideologico, che separa la Cina da Taiwan. Si respira un clima di distensione, dopo lunghi anni di netta chiusura reciproca e minacce di scontri armati. A fine maggio, due settimane prima della nostra visita, il presidente e segretario del Partito comunista Hu Jintao e il presidente del Kuominta ng (Partito Nazionalista) di Taiwan, Wu Poh-hsiung, si sono incontrati davanti ai giornalisti. Incontro storico. La prima volta, dopo il 1949. Preludio all’apertura di voli diretti tra i due paesi e a una politica meno restrittiva sui visti di ingresso.

Siamo embedded, ma questo non ci impedisce di porre domande anche scomode, il Tibet, il terremoto, la censura. Mei Ninghua risponde dribblando. Dice che i cinesi hanno perso fiducia nei media occidentali, soprattutto inglesi e francesi, per l’enfasi negativa sulla repressione della rivolta dei monaci tibetani. E’ un problema di ordine pubblico, non politico, aggiunge. Il giorno dopo avremo una risposta analoga dal vicedirettore della China Central Television, Cheng Hong, quando un collega gli chiede “chi ha deciso di tagliare le immagini della contestazione durante la cerimonia per l’accensione della fiaccola olimpica ad Atene”?  La manifestazione era trasmessa dalla CCTV con una differita di qualche secondo, e dunque è stata una scelta rapida… Cheng Hong dribbla anche lui: “Non siamo a conoscenza di questa circostanza“.

La China Central Television è un colosso dell’etere e del web. Trenta canali, sei satelliti esclusivi in orbita, digitale terrestre e multicanalità web, centinaia di milioni di telespettatori. Sta per trasferirsi in una sede degna dei suoi numeri da capogiro, due torri di settanta piani l’una i cui vertici sembrano prendersi per mano, quasi a simboleggiare la conquista dello spazio. Cheng Hong si schermisce. “Non siamo ancora influenti come i grandi broadcast occidentali, ma facciamo tesoro della loro esperienza”. Visitiamo la sala di controllo centrale, la newsroom, alcune salette di montaggio, studi e teatro di posa. Dotazione tecnologica all-digital. Cinquant’anni fa in tutta la Cina trasmetteva soltanto una stazione televisiva a Pechino, due ore al giorno. Trent’anni fa la svolta, grazie alla riforma imposta da Deng Xiaoping. La tv doveva diventare lo specchio della nuova lunga marcia della Cina verso la modernità.  “Come scegliete i giornalisti che conducono i tg“? “La selezione è molto rigida – dice Cheng Hong – bisogna affrontare test attitudinali, culturali e linguistici. Andiamo a cercare i conduttori nelle facoltà di giornalismo e nelle tv locali. Ce la fa uno su quattrocento“.

Il terremoto nella regione di Sichuan, nel sud-ovest del paese, è stato un banco di prova inedito, per giornalisti e manager di CCTV. Mille uomini nella sede centrale e cinquecento inviati sul posto hanno assicurato la copertura capillare del disastro. I reportage – li abbiamo visti perchè sono stati trasmessi dai circuiti internazionali e ripresi dai nostri telegiornali – avevano un taglio diverso, nella scelta delle immagini e nel montaggio. Più “occidentali”, meno trionfalistici e retorici. Hanno proposto anche la disperazione dei sopravvissuti, le proteste contro i potenti locali che hanno costruito con cemento di cattiva qualità. “E’ un impressione giusta”, chiediamo a Cheng Hong? “Noi abbiamo messo al primo posto la vita umana – risponde il vicedirettore – e poi la risposta dello Stato all’emergenza. Abbiamo sperimentato metodi e tecniche giornalistiche per noi inediti, in situazioni proibitive. Assenza pressocchè totale del sistema delle telecomunicazioni, strade impraticabili. Abbiamo interrotto più volte le trasmissioni in corso per aprire finestre in diretta dai luoghi della tragedia“. Cheng Hong racconta un episodio inedito. Rivolgendosi aii giornalisti che lo accompagnavano sull’elicottero in viaggio verso l’epicentro del terremoto, il presidente della Repubblica, Hu Jintao, ha detto: “raccontate a tutto il mondo la verità, quello che vedete, senza reticenze“. E’ lo stesso Hu Jintao che proprio nei giorni della nostra visita in Cina è andato nella sede del Quotidiano del Popolo per chattare per qualche minuto con i lettori del sito internet del quotidiano fondato nel 1948 da Mao Zedong. Immagini e video di questo evento hanno fatto il giro del mondo, quasi un’icona della Cina che ha fatto dell’innovazione la sua parola d’ordine.

Di recente il governo ha emanato alcune direttive per l’informazione:

  • – Tutti i giornali devono saper orientare correttamente i cittadini;
  • – I giornali devono tener conto delle esigenze dei cittadini, saper essere accattivanti, brillanti;
  • – I giornali devono sostenere le riforme;
  • – Va rafforzato il ruolo dei media tradizionali e dei new media;
  • – Chi lavora nei giornali deve avere un’adeguata formazione professionale e culturale.

 

In cinese la traduzione letterale della parola computer è “cervello elettrico”. Ne vediamo a centinaia, di “cervelli elettrici”, nella redazione web del Quotidiano del Popolo. E’ il giornale più diffuso. Tre milioni di copie al giorno. Uno dei dieci quotidiani più venduti al mondo. Il gruppo editoriale pubblica altri dieci quotidiani (compreso uno di satira e humor) e sei mensili. Il grande open space è silenzioso. I redattori sono immersi nel loro lavoro a turni, ventiquattro ore su ventiquattro. Ci accompagnano nella visita il vice presidente del gruppo, He Chongyuan, e il capo redattore, Shi Kedong, che è stato corrispondente da Roma per vent’anni e parla perfettamente la nostra lingua.  Sono loro che hanno aiutato il presidente Hu Jintao a destreggiarsi durante la chat con i lettori, il 20 giugno. Noi arriviamo tre giorni dopo l'”evento” e, quando varchiamo la soglia della redazione, su un maxischermo appare l’articolo sulla nostra visita, con le foto che ci hanno scattato pochi minuti prima. Informazione in tempo reale. Uno dei tanti gesti di rispetto e gentilezza nei confronti della delegazione italiana che hanno caratterizzato il nostro tour de force nelle redazioni di giornali, radio, tv e siti web a Pechino, Shanghai, Sanya e Canton.

Il Quotidiano del Popolo ha fatto, nel bene e nel male, la storia recente di questo immenso, affascinante e contraddittorio paese. “La Cina – ha scritto Sergio Castellitto durante gli ottanta giorni di riprese del film ‘La stella che non c’è’ – è viaggiare dentro un pianeta in cui le immagini vanno dal medioevo alla fantascienza dell’efficienza tecnologica più avveniristica, alla povertà“. Ecco, nella redazione web del Quotidiano del Popolo, così come alla CCTV a Radio Beijing Corporation e poi a Pudong-Shanghai, dove nel 2010 ci sarà l’Expo universale, le immagini sono quelle dell’efficienza tecnologica più avveniristica. Il sito pubblica diecimila notizie al giorno, con dieci milioni di visite uniche al giorno, che sono aumentate fino a venticinque milioni durante i quattro minuti di chat del presidente Hu Jintao. Il sito è diviso in ottanta sezioni tematiche e decine di forum.

Internet sta cambiano e cambierà sempre di più la Cina“. Ne è convinto Chen Zhenping, capo redattore del Jefang Daily Group di Shanghai, che pubblica il Liberation Daily, secondo quotidiano cinese per ordine di importanza e vendite, fondato nel 1949, subito dopo la liberazione di Shanghai dall’occupazione giapponese. Chen Zhenping arriva subito al sodo. Ammette che le vendite dei giornali di partito sono in calo e che il novanta per cento dei profitti del gruppo deriva non dal Liberation Daily, bensì dagli altri quotidiani. “Il futuro dei giornali è digitale – aggiunge – anche se la carta stampata non scomparirà, dovrà adattarsi ai cambiamenti, ai gusti dei lettori, soprattutto dei più giovani. E poi c’è il problema dei costi. La carta costa sempre di più e non si può aumentare il prezzo del giornale in edicola. Tra l’altro, seguendo l’onda dei media occidentali, negli ultimi anni abbiamo aumentato il numero delle pagine, ma le vendite non seguono il passo. I profitti ci sono, ma grazie alla pubblicità“.

Il Jefang Daily Group sta per quotarsi in borsa. “Saremo il primo gruppo editoriale a fare questo passo importante”, dice con orgoglio Chen Zhenping, che parla anche della sperimentazione in corso di giornale elettronico.  L’edizione si scarica via internet e si legge su iLiad, il lettore poco più grande di un palmare realizzato dal gruppo olandese iRex Technologies, lo stesso partner scelto dalla Stampa di Torino per la sua futura versione digitale.

Tutta digitale è la scelta di Radio Beijing Corporation. E’ stata la prima emittente radiofonica cinese, e i suoi fondatori del 1949 stenterebbero a riconoscerla. Otto canali, trasmissioni sperimentali con segnale digitale DAB e web tv. Percorriamo il lungo corridoio che ospita gli studi. Conduttori, giornalisti, ospiti e cameramen parlano e si muovono al di là del vetro insonorizzato che ci separa da loro.

Il digital divide è l’unico ostacolo che si oppone (ancora per quanto?) al grande balzo tecnologico. A Ovest e a Est c’è più difficoltà a far arrivare la banda larga. Il segnale televisivo e quello radiofonico coprono l’intero paese. Digitale terrestre e Internet sono una prerogativa delle città e delle aree metropolitane. Nei piccoli centri e nei villaggi i giovani si collegano alla rete grazie agli Internet Point pubblici e privati (ancora pochi). Il portavoce del Consiglio dei Ministri, Qian Xiaoqian, ci illustra il quadro complessivo durante la visita allo State Council. Duemila giornali, mille dei quali quotidiani, novemila periodici, trenta televisioni con duemila canali, trecento stazioni radio con duemila canali. Ogni giorno in Cina si stampano cento milioni di copie di giornali e poi c’è Internet. 230 milioni di navigatori, un milione e seicentomila siti registrati, 58 milioni di blog, 540 milioni di telefoni cellulari, un miliardo e mezzo di sms scambiati ogni giorno. Il settantacinque per cento dei navigatori legge notizie e gioca; il venticinque per cento fa business o cerca lavoro.

E con la censura dei siti Internet come la mettiamo? “Facciamo quello che fanno gli altri paesi – risponde serafico Qian Xiaoqian – preveniamo l’ingresso delle informazioni negative, quelle che possono far male ai giovani. Pornografia, pedofilia. Sono i genitori che ce lo chiedono”.

In Cina l’informazione sta cambiando, ma forse dovremo aspettare ancora per vedere pubblicare sui giornali cinesi notizie come quella riportata a fine giugno dai media occidentali. Nella contea di Weng’an, nel sud della Cina, circa diecimila persone hanno protestato contro le autorità per la gestione del caso di una studentessa trovata morta in un fiume. La ragazza era stata stuprata e uccisa dal figlio di un notabile locale, ma la polizia aveva archiviato l’inchiesta come suicidio. I manifestanti si sono scontrati con la polizia chiedendo giustizia. Uno di loro è morto. L’agenzia ufficiale Xinhua ha riportato la notizia così:”…individui non identificati, criminali, hanno istigato la folla ad attaccare gli edifici della polizia, del governo e del Partito Comunista. Poi è tornato l’ordine“. In qualche modo i filmati sono apparsi su YouTube e su alcuni blog cinesi. La notizia ha fatto il giro della Cina e del mondo, ma i giornali l’hanno ignorata o hanno riportato solo la versione di Xinhua.

Pino Bruno, luglio 2008

Bibliografia essenziale:

  • Renata Pisu, Mille anni a Pechino, Sperling&Kupfer, 2008
  • Rob Gifford, Cina viaggio nell’Impero del futuro, Neri Pozza, 2008
  • Nunzio Mastrolia, Chi comanda a Pechino? Castelvecchi, 2008
  • Tibet, la Cina è fragile. I quaderni speciali di Limes. Rivista italiana di geopolitica, 2008
  • China news. Cina: la nuova America? Socialmente, 2007
  • Federico Rampini, L’Impero di Cindia, Mondadori, 2007

 

 

Pubblicato da Pino Bruno

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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