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Sito nucleare Corea del Nord individuato da scienziati italiani

Mentre il governo della Corea del Nord annunciava, martedì scorso (12 febbraio 2013), la terza esplosione nucleare sotterranea, effettuata in un sito non meglio precisato di una zona montuosa a Nord-Est del Paese, un gruppo di ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), diffondeva i risultati di un nuovo studio sulla precisa localizzazione e altre caratteristiche del sito. 

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Pubblicato sulla rivista internazionale Pure and Applied Geophysics col titolo “A Multidisciplinary Study of the DPRK Nuclear Test” (12 / 2012),  lo studio è stato condotto da dieci ricercatori INGV (R. Carlucci, A. Giuntini, V. Materni,  S. Chiappini, C. Bignami, F. D’Ajello Caracciolo, A. Pignatelli, S. Stramondo, R. Console e M. Chiappini) che collaborano con il Ministero degli Esteri italiano nell’ambito dell’Autorità nazionale per il Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, il trattato internazionale per il bando dei test nucleari, adottato dalle Nazioni Unite fin dal 1996, ma non ancora ratificato da tutti i Paesi e, quel che peggio, non applicato da alcuni.

“L’obiettivo della nostra ricerca -spiega il geofisico Massimo Chiappini, capo del gruppo- è quello di effettuare la caratterizzazione delle esplosioni nucleari nord coreane per ottenere non soltanto una più precisa localizzazione geografica del sito, ma anche le caratteristiche della roccia incassante all’interno della quale sono effettuati i test, la geometria della cavità, la potenza dell’ordigno, le deformazioni subite dal rilievo topografico in conseguenza dell’esplosione, l’eventuale rilascio di radionuclidi nell’ambiente”.

Per localizzare un sito in cui sono realizzate esplosioni nucleari sotterranee, di solito si adottano le stesse tecniche usate per il calcolo degli epicentri dei terremoti naturali, misurando i tempi di arrivo delle onde sismiche alle varie stazioni della rete mondiale di monitoraggio.

Prima dell’ultima esplosione di martedì scorso, i nord coreani ne avevano effettuate altre due, rispettivamente il 9 ottobre 2006 e il 25 maggio 2009. Relativamente a questi due eventi, i geofisici dell’INGV hanno constatato che le localizzazioni ricavate da altri gruppi di ricerca internazionali, apparivano disgiunte, come se i siti fossero due ben distinti e distanti fra loro alcuni chilometri. Applicando un nuovo algoritmo e selezionando solo le stazioni che avevano registrato entrambi gli eventi, il gruppo di ricerca INGV ha constatato, invece, che le due localizzazioni risultavano praticamente coincidenti.

Allo scopo di stabilire, con una precisione mai raggiunta prima, le coordinate del sito, i ricercatori hanno deciso di ricorrere a un’altra tecnica di indagine geofisica, chiamata Differential Interferometric Synthetic Aperture Radar (DInSAR), che utilizza le numerose immagini radar riprese da alcuni satelliti artificiali in successivi passaggi sopra una determinata zona. Mettendo a confronto le immagini DInSAR è possibile costruire degli interferogrammi e valutare dislocazioni del terreno anche di appena un centimetro. Per inciso, la stessa tecnica è stata applicata nei giorni successivi al disastroso terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, ricavando una deformazione del terreno di circa 25 cm su un’area estesa alcune centinaia di km quadrati attorno al capoluogo abruzzese.

“Applicando la tecnica DInSAR alla zona utilizzata dai nord coreani per i loro test nucleari sotterranei, dopo l’esplosione del maggio 2009, abbiamo misurato un abbassamento del terreno di 4,5 centimetri in una località di coordinate 129.1 di longitudine Est e 41.4 di latitudine Nord, che si trova circa 10 km più a Nord della più accurata localizzazione sismica -aggiunge Chiappini-. Poiché riteniamo che la precisione della determinazione con metodi sismici sia condizionata dalle anomalie di propagazione delle onde, siamo del parere che quella interferometrica rappresenti la migliore localizzazione attualmente disponibile”.

Circa le altre caratteristiche del sito, lo studio multidisciplinare dei ricercatori INGV lascia ipotizzare che la cavità sotterranea dove avvengono le esplosioni abbia una configurazione orizzontale, come una galleria scavata ai piedi di un alto massiccio montuoso, costituito da antichissime rocce granitiche risalenti all’era mesozoica.

Il contenimento dei prodotti radioattivi all’interno della galleria sembra perfetto, tanto che i sensori di particelle radioattive non hanno rilevato alcun tipo di radionuclide sfuggito nell’atmosfera.

In termini di energia liberata, le prime due esplosioni del 2006 e del 2009 hanno generato, rispettivamente, scosse di magnitudo 4.0 e 4.5 Richter. Quella di martedì scorso ha raggiunto, invece, 5.1 Richter. Da questi valori si può desumere che le bombe nucleari nord coreane sono piccole ma in crescendo, con potenze comprese tra 5 e 15 kilotoni. Per confronto, la bomba americana sganciata su Hiroshima nel 1945 fu di 12,5 kilotoni.

Fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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