Assedio alla rete: di nuovo il bollino di qualità ai giornali!
2 Giugno 2013 Pubblicato da Pino Bruno
Sarà un caso, ma se uno fa il sottosegretario con delega all’editoria, la prima cosa che gli viene in mente è cercare di mettere lacci e lacciuoli a Internet. Ci aveva già provato nel 2008 Ricardo Franco Levi (PD). Vuole riprovarci Giovanni Legnini (anche lui PD), che oggi sul Corriere della Sera la spara grossa. Dice l’ex sindaco di Roccamontepiano a Paolo Conti (pagina 23):
“Certi pericoli sono evidenti: una quantità rilevante di non-notizie circolano in rete senza verifiche né controlli. Occorre una rigorosa strutturazione della filiera. Per esempio una qualche forma di certificazione dei giornali online. Gli stessi motori di ricerca andranno sollecitati a fornire un contributo al progetto di innovazione del sistema editoriale”.
Eccola lì, la certificazione dei giornali online. Tema vecchio quanto la rete. Chi dovrebbe certificare se un giornale è buono o cattivo? Chi dovrebbe attribuire il bollino di qualità? Il governo? Una commissione parlamentare analoga all’inutile e anacronistica “Vigilanza Rai”? Il sottosegretario Legnini non entra nei particolari, ma lascia intuire un altro – l’ennesimo – “Ammazza Blog”.
Sottolinea correttamente Massimo Mantellini:
“Si tratta come è noto di questioni già ampiamente dibattute negli anni, in particolare quella dei bollini per i siti web editoriali. Un problema di sciocco paternalismo di Stato che può uscire solo dalla mente di chi:
1) non conosce Internet;
2) vive in una sorta di Nirvana nel quale le notizie reali sono da una parte e le bufale da un’altra”.
Perché ci provano e riprovano a “normalizzare” la rete? Perché è frequentata anche dagli orchi, dai diffamatori, dai troll, dai disseminatori di odio. E’ vero. Ce ne sono tanti, ma non si combattono con bavagli e leggi speciali. Bastano le norme esistenti. Lo ribadisce ogni giorno anche Stefano Rodotà. Anche oggi, al Festival dell’Economia di Trento:
“La denuncia che ha fatto la presidente della Camera, Laura Boldrini, dicendo ‘qui in rete si dicono su di me le cose più orribili’ pone un problema che va sotto l’etichetta di ‘linguaggio dell’odio’. Naturalmente questo richiede molta attenzione ma non leggi speciali, piuttosto un’azione culturale a partire dalle scuole”. “I comportamenti tenuti in rete in violazione di tutte una serie di norme sono puniti con le stesse regole tradizionali che consentono di intervenire per i reati di diffamazione – ha aggiunto Rodotà – vi è solo la difficoltà di identificare la persona che ha messo in rete insulti o ingiurie, quindi non servono leggi speciali ma strumenti più efficienti per perseguire questo tipo di reato”.