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Ecco perché i film in streaming sono così vecchi

Chi avrebbe scommesso, appena cinque anni fa, che i servizi di musica in streaming avrebbero avuto successo? Pochi o nessuno. Eppure, si legge nel Digital Music Report 2014, persino in Italia negli ultimi sei mesi il 32 per cento degli utenti ha usato un servizio in streaming. Ci si abbona e si ascolta ciò che si vuole, che si tratti di Spotify, Google Play Music All Access, iTunes Radio, eccetera. Musica sì, film no: perché non accade la stessa cosa per il cinema? Perché l’offerta di servizi come Netflix e altri non è così tempestiva? Perché non arrivano sulle piattaforme i film più recenti?   

Georges Melies, Voyage dans la lune

Georges Melies, Voyage dans la lune

Tutta colpa del “windowing”, termine usato dall’industria dell’intrattenimento per indicare le finestre temporali in cui i film sono distribuiti sulle diverse piattaforme.

Qualche giorno fa il New York Times ha proposto un’analisi molto credibile sul perché l’industria cinematografica non abbia seguito le orme di quella discografica. L’esperto di economia digitale Farhad Manjoo ha usato la metafora del salmone: “Come il salmone, i film di Hollywood sono governati da cicli vitali molto rigidi”, ha affermato, elencando tutti i passaggi:

– Prima di tutto un film esce nelle sale cinematografiche;

–  Pochi mesi dopo approda ai circuiti di seconda visione, come le linee aeree e i servizi pay-per-view degli hotel;

– Poi tocca ai Blu ray, ai DVD e ai servizi digitali che permettono di comprare o noleggiare i film via internet o attraverso le consolle;

– Poi, più o meno un anno dopo l’uscita al cinema, arrivano i guai. Cioè il momento in cui un film diventa disponibile su canali di tv a pagamento come Hbo, Starz ed Epix che spesso hanno l’esclusiva. E quando un film arriva su un canale a pagamento, spesso non può essere trasmesso da nessun altro servizio di streaming. Di solito significa che il film viene ritirato anche dal noleggio. In questo periodo la Hbo sta trasmettendo, tra gli altri, Questi sono i 40, Lo Hobbit e Moonrise Kingdom. Per via dell’esclusiva che il network si è garantita, questi titoli sono introvabili sugli altri servizi digitali.

 
Il windowing spiega inoltre perché i film disponibili su Netflix sanno così tanto di vecchio. Devono trascorrere tra i cinque e i sette anni dopo l’uscita nelle sale prima che decadano tutte le restrizioni dovute alle finestre a pagamento. “E così, quando diventano disponibili per servizi ad accesso illimitato come Netflix, i salmoni non sono più così freschi”.

L’esperto del New York Times cita Blair Westlake, che fino all’inizio di marzo era il dirigente di Microsoft incaricato dei diritti per i media: “Adesso il problema non sono i dispositivi o la velocità della banda larga. II problema riguarda l’aspetto economico. Forse un giorno arriverà qualcuno intenzionato a creare qualcosa come Spotify per i film. Ma non succederà nei prossimi cinque anni“.

Perché i film sono diffusi in modo così frammentario? E perché il sistema non può cambiare, si chiede Farhad Manjoo? Per i soldi, naturalmente: “La Hbo e altri canali premium hanno accettato di pagare miliardi di dollari per la programmazione esclusiva dei film di maggior successo. Secondo quanto dichiarato da Hbo, nonostante il prestigio culturale dei suoi programmi originali, i film rappresentano i contenuti più visti. Perciò ha comprato i diritti di circa la metà di tutti i film dei principali studi cinematografici degli Stati Uniti fino a dopo il 2020”.

Addirittura le cose si complicano a proposito delle serie tv, “i cui diritti sono regolati da un regime di windowing completamente diverso rispetto a quello dei film. Le serie possono diventare popolari con il passare del tempo. Questo spinge i network ad assicurarsi diritti di esclusiva di lungo periodo per serie molto popolari, ed è questa la ragione per cui Netflix e Amazon sono in competizione con Hbo per creare serie tv originali”.

La conclusione dell’esperto del New York Times? Almeno in questo decennio, dunque, nessuno potrà vendere un abbonamento mensile che offra tutti i film. A meno che, aggiungiamo noi, la spinta di applicazioni illegali come Popcorn Time (servizio clandestino già morto e risorto un paio di volte) non costringa le major di Hollywood a seguire la strada già imboccata dall’industria musicale.

Insomma, ciò che è successo a Napster alla fine degli anni Novanta.

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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