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Quella voglia matta di imbavagliare e censurare la rete

Cosa si fa quando sui muri di una stazione ferroviaria appaiono graffiti sgradevoli? Si blocca il traffico ferroviario, ovviamente. E’ quello che, a parere di Facebook, ha fatto il Parlamento italiano approvando, su proposta del senatore Gianpiero D’Alia (UDC-SVP-Aut.),  il famigerato emendamento 50.0.100 all’articolo 50 del Pacchetto Sicurezza. L’emendamento, come ricorda oggi anche Vittorio Zambardino su Affari e Finanza di Repubblica, è passato il 5 febbraio: “Più che di una legge, si è trattato di un piccolo colpo di mano”.

Qui non si tratta di difendere Facebook, che pure di colpe ne ha tante, ma di impedire che – per evitare presenze scorrette e crimini sui social network –  si getti via il bambino con l’acqua sporca. E’ disdicevole che parlamentari visibilmente ignoranti (nel senso letterale di non conoscenza) del mondo digitale pretendano di imporre regole liberticide. Paralizzando il traffico ferroviario, appunto, quando il graffitaro scrive parolacce sui muri. Oppure – tira una brutta aria anche in questo caso – cercando di mettere lacci e lacciuoli a Skype soltanto perchè i delinquenti hanno scoperto che è difficile, se non impossibile, intercettare le telefonate.

Cari parlamentari, piuttosto chiedete fermamente a Facebook, YouTube e simili di controllare alla fonte documenti e filmati che gli utenti vogliono condividere. Non è vero che non si può fare. E’ solo questione di denaro da investire e personale da assumere. Controllare significa impedire violazioni della legge, istigazione al razzismo, al sessismo, al bullismo e all’odio religioso e politico. Non significa mettere il bavaglio alla rete.

Di fatto la legge concede al ministro dell’interno il potere di bloccare del tutto un sito, se questo non rimuove i contenuti ritenuti offensivi. L’iniziativa ufficialmente serve a perseguire l’apologia di reato, o quei gruppi che sostengono i boss mafiosi come fossero santi. Il problema rilevato, però, è che un potere del genere affidato ad una carica politica apre le porte ad ogni tipo di scenario orwelliano. Cina e Birmania, appunto.

D’altra parte gli strumenti per perseguire chi viola la legge online già ci sono, e i responsabili dei siti, in generale, non hanno problemi a fornire i dati di un utente alle forze dell’ordine. Questa legge, insomma, non sembrerebbe nemmeno tanto utile, se non per liberarsi di qualche voce particolarmente invisa a questo o a quel politico.

Ringrazio Valerio Porcu di Tom’s Harware Guide per la collaborazione.

Pubblicato da Pino Bruno

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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