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Libertà in rete: in carcere i cyber attivisti che sostengono i giovani tunisini ed egiziani

Da settimane il cuore di chi ama la libertà batte per i giovani tunisini  ed egiziani  che sfidano i regimi e chiedono democrazia e libertà di espressione. Migliaia e migliaia di cyber attivisti di tutto il mondo li stanno aiutando, mettendo a disposizione gli strumenti, i trucchi, i server, per aggirare la repressione e continuare a fare network digitale. Per ironia (ma non tanto) della sorte, quegli  stessi cyber attivisti  in questi giorni stanno finendo in carcere  in paesi occidentali e democratici come la Francia e la Gran Bretagna. La loro colpa? Aver partecipato alle azioni di sabotaggio telematico  delle aziende che, a loro volta, avevano boicottato Wikileaks, facendo mancare il denaro dei sostenitori e chiudendo i server del sito di controinformazione.  

Cyber attivista di Anonymous a Londra (photo AFP)

In tutto l’FBI ha chiesto l’arresto di una quarantina di cyber attivisti della rete Anonymous in vari paesi, le cui polizie stanno collaborando. Non si tratta di criminali, ma di hacker etici, cioè pirati telematici a fin di bene.  Molti di loro sono minorenni, autori degli attacchi DDoS nei confronti di Amazon, PayPal, Mastercard.

Per aumentare il numero dei computer da cui far partire il bombardamento di dati, per rendere inaccessibile un sito, il gruppo di attivisti utilizzava uno strumento online chiamato LOIC (Low Orbit Ion Cannon), che nelle ore più calde della vicenda Wikileaks si trovava facilmente in rete. Le stime parlano di milioni di download.

Con LOIC anche un utente poco esperto poteva partecipare all’offensiva. Il sito che ne offriva il download aveva assicurato che le probabilità di essere rintracciati erano praticamente nulle, ma in realtà, come si legge in questo report, l’indirizzo IP di chi ha utilizzato LOIC è stato individuato dall’FBI.

A dicembre erano finiti in carcere, con le stesse accuse, due ragazzi olandesi di 16 e 19 anni.

Insomma, tutti in galera per aver solidarizzato con Wikileaks, l’organizzazione che – con le sue rivelazioni su Ben Ali e accoliti e sulla complicità di numerosi governi occidentali –  ha contribuito alla caduta del regime tunisino.

Così, da una parte il Dipartimento di Stato americano e le cancellerie europee chiedono a Tunisi e al Cairo di non esagerare con la repressione, dall’altra mettono in galera chi aiuta concretamente i giovani tunisini ed egiziani.

Twitter e gli altri social network oscurati in Egitto

Regimi e democrazie mature sembrano aver paura, perché dietro internet ci sono persone in carne e ossa e il mondo virtuale diventa reale.  Ce lo stanno insegnando i ragazzi di Tunisi e del Cairo… e i cyber attivisti di Anonymous.

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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