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Giappone: il ruolo strategico della rete nel racconto di Stuart, da Tokyo

Senza la rete, le conseguenze del disastro in Giappone sarebbero state ancora più pesanti, dicono i testimoni sul posto. C’è Stuart, corrispondente da Tokyo della webzine americana 2600, che racconta la sua esperienza: “E’ cominciato come un terremoto ‘normale’, ma poi ho visto che cresceva di intensità e continuava, continuava… mi sono lanciato per terra, afferrando la borsa per le emergenza, che contiene anche un casco, e l’ho subito indossato.

Quando la scossa è cessata, finalmente, ho alzato la cornetta del telefono ma era muta. Anche il cellulare era inutilizzabile. Per fortuna internet continuava a funzionare, così come i telefoni VoIP. In quei momenti Twitter è diventato il metodo di comunicazione più affidabile, con un flusso continuo di notizie su quanto stava accadendo. Grazie agli hashtag, ho capito dov’erano l’epicentro e le zone più colpite. Poi sono arrivati gli allarmi tsunami, via e-mail e via Twitter e ho letto i commenti agghiaccianti di quanti stavano guardano alla televisione gli effetti delle onde gigantesche.

Dopo le numerose scosse di assestamento, qualche ora dopo, mi sono posto il problema di rientrare a casa dall’ufficio. Tutti i treni nella zona di Tokyo si erano fermati e non c’erano notizie su quando sarebbe ripresa la circolazione.

A quel punto ho postato su Facebook una richiesta di aiuto e, dopo pochi minuti, alcuni amici mi hanno offerto un posto in cui trascorrere la notte. Sono riuscito a chattare con uno dei miei amici via Skype, con il mio iPhone, e mi sono diretto nella sua direzione. Nei pressi della sua abitazione l’ho chiamato, di nuovo via Skype con l’iPhone.

Il percorso è durato mezz’ora e, mentre camminavo, ho visto cose da non credere. Migliaia di persone stavano camminando tranquillamente lungo il marciapiedi vicino alle strade principali. Gli scaffali dei negozi erano già vuoti. Introvabili pane, pasta, prodotti alimentari, pentole, caricabatterie e batterie per telefoni cellulari. A ruba anche le biciclette, l’unico mezzo per muoversi.

Allo stesso tempo, i negozi di telefonia mobile sono stati tenuti aperti per consentire agli utenti di caricare i telefoni. Le cabine telefoniche funzionanti permettevano di chiamare gratuitamente tutti i numeri fissi del Giappone. Sapevo che, una volta rientrato a casa, il mio telefono fisso non avrebbe funzionato, perché collegato al router DSL. Nel mio quartiere, infatti, non c’era energia elettrica.

Il mattino dopo ho cercato su Google il nome della stazione e delle linee ferroviarie vicine. Su Twitter intanto leggevo i messaggi di altri utenti che si lamentavano perché le code davanti alle stazioni erano molto lunghe e che si doveva aspettare almeno un’ora per poi salire su treni pericolosamente sovraffollati. Così ho deciso di aspettare, nella speranza che i tempi di attesa diminuissero più tardi.

Molte persone sono state in grado di ricevere chiamate Skype sul proprio iPhone o PC da parenti all’estero, ma non sono riuscite a mettersi in contatto con la loro famiglia nella stessa città, a causa di problemi con la rete di telefonia mobile. Ho anche verificato su Twitter, sulla base delle esperienze degli utenti, che molti SMS non arrivavano a destinazione.

Un altro pezzo di tecnologia che ha dimostrato di non funzionare bene è il sistema di pre-allarme Terremoto. I telefoni cellulari di nuova generazione lanciano un allarme sonoro e visualizzano un messaggio, se c’è un terremoto in arrivo.

Non c’è stato alcun avviso per la prima forte scossa. Un fallimento totale, al quale si è poi aggiunta una sequela di inutili allarmi sonori per tutta la notte, per le scosse più deboli. Vi assicuro che stare in una stanza piena di telefoni cellulari e sentirli suonare contemporaneamente per l’allarme, ha aggiunto paura alla paura.

La TV giapponese ha fatto e sta facendo un lavoro eccellente, nel tenere informati i cittadini ventiquattro ore su ventiquattro.

Per quanto riguarda la crisi nucleare, sto seguendo le notizie e i pareri degli esperti. Le esplosioni non sembrano essere parte del piano di emergenza programmato. Credo che non ci sia davvero la possibilità di testare il progetto di una centrale nucleare, prima di un incidente così grave.

In linea di principio sono a favore del nucleare, ma non mi sembra saggio costruire centrali in aree a rischio per terremoti e tsunami. Non capisco perché il Giappone non costruisce centrali termiche con il calore abbondante delle fonti di origine vulcanica.

Inoltre, è ben noto che l’industria nucleare in Giappone è stata spesso coinvolta in scandali…e poi mi spaventa vedere che gli Stati Uniti stanno evacuando in massa il personale dalle basi vicine a Tokyo.

Quanto ai black-out a rotazione, nessuno sa ancora come saranno programmati. Si fermeranno i treni? Le stazioni saranno illuminate? Sapete com’è stata comunicata la programmazione da parte dell’azienda elettrica TEPCO? Con un PDF creato dalla copia di un fax! Poi il sito della TEPCO è andato giù, a causa del sovraccarico dei contatti…per fortuna sono riuscito a salvarne una copia nel mio Dropbox e, dall’iPhone, la sto trasmettendo dappertutto.

Comunque a Tokyo riusciamo almeno a comunicare, mentre nel nord del Giappone il disastro che ha letteralmente cancellato intere comunità dalla carta geografica. L’ufficio per cui lavoro ha filiali in tutto il paese e lunedì mattina 200 persone non hanno potuto essere rintracciate.

Grazie a quanti, in tutto il mondo, si stanno muovendo per aiutarci”.

Stuart, da Tokyo

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Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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