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Tre terroni a zonzo. Lasciare Napoli o restare?

Partir, c’est mourir un peu, diceva il poeta. E aggiungeva: On laisse un peu de soi-même. En toute heure et dans tout lieu. Partire, restare, questo è il dilemma. Con il suo “Tre terroni a zonzo”, da oggi in libreria per Sperling&Kupfer, Antonio Menna, romanza un saggio sull’emigrazione giovanile al tempo della crisi. Non che a Napoli e dintorni si tratti di un tema sconosciuto. Anzi. Sono secoli che da queste parti si è costretti a fare i bagagli per cercare una fatica. Un tempo partivano le braccia, con le valigie di cartone. Oggi vanno via i cervelli, con il trolley, il notebook e l’iPad. Quella proposta da Antonio Menna è la storia di tre giovani cervelli terroni alle prese con un mercato del lavoro che non c’è, da intercettare altrove, a nord. Ed è un racconto fluido, coerente, persino divertente, intriso di peculiarità etnica e linguaggio colorito. Quella napolitudine che da sempre sorprende il forestiero in visita nella capitale partenopea.

“E adesso dobbiamo entrare nel mercato del lavoro”, dice uno dei protagonisti all’indomani della laurea. “Dove lo fanno questo mercato?”, risponde un altro, cercando di fare una battuta che però nessuno afferra. E il saggio romanzato di Antonio Menna prosegue con ritmo incalzante. Questi ragazzi sembra di conoscerli da sempre. Sono i nostri figli o i figli dei nostri amici andati a stare lontano, per specializzarsi o per lavorare. La generazione a distanza, con il dolore del distacco appena mitigato da Skype, WhatsApp, iMessage, Facetime, Viber e tutte le altre meravigliose tecnologie che fanno il mondo più piccolo.

Si parte e ci si fa ingoiare dalla macchina dell’efficienza e della fatica totalizzante.  Oppure si resta e si fanno i conti con il barone universitario che promette borse di studio a zero euro e intanto usa gli assistenti senza paga come autisti e garzoni. Si parte e si diventa trottole del carrierismo. Si resta e si partecipa a concorsi pubblici dall’esito taroccato.

Uliano Lucas, Emigrante in piazza Duca d’Aosta. Milano 1968

La vita, per i tre giovani terroni a zonzo, è una roulette russa (o una montagna russa). C’è una parola che, meglio di altre, esprime lo stato d’animo dei tre protagonisti. E’ Uanema.

Spiega l’autore che “Uanema per i napoletani è un’esclamazione ricorrente. Uanema e Dio indica stupore misto a un filo di rabbia. Uanema del purgatorio è per lo stupore con un po’ di invocazione al destino. Uanema di mammeta, invece, scivola verso l’attacco personale. Uanema da solo è semplicemente l’anima, ma nel senso di meraviglia”.

E c’è da gridare Uanema! quando si legge, in appendice, che “ogni anno circa trentamila italiani, di età compresa tra i venti e i quarant’anni, secondo i dati dell’Aire (Anagrafe Italiana Residenti all’Estero), spostano la residenza dall’Italia all’estero per cercare lavoro. Altri trentamila se ne vanno lasciando la residenza in patria. Per la maggior parte si tratta di laureati. Il 60 per cento proviene dal Sud Italia”.

Antonio Menna ci aveva abituato a sorridere amaro con il suo best seller “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli“. Qui rincara la dose, ma ci regala un finale a sorpresa. Uanema!

Antonio Menna, Tre terroni a zonzo. Lasciare Napoli o restare? Sperling&Kupfer, 12,00 euro, da oggi in tutte le librerie.

Edmond Haraucourt, Rondel de l’adieu (1890)

 

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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