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Le nostre vite sul sito della Cassazione, altro che diritto all’oblio

Va bene la trasparenza, ma perché non omettere cognomi e indirizzi? La Corte di Cassazione ha appena reso accessibile in una sezione dedicata del sito internet – SentenzeWeb – un potente motore di ricerca che permette di accedere a tutte le sentenze civili degli ultimi cinque anni. I documenti, in formato PDF, sono stati copiati e incollati, senza alcun intervento di salvaguardia della riservatezza dei dati personali. Si tratta di sentenze civili, non penali, e dunque mettere in piazza l’identità delle persone che hanno fatto ricorso alla magistratura per risolvere i loro problemi va in rotta di collisione con il “diritto all’oblio“.   

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Scelta opinabile, tant’è che il Garante per la privacy, Antonello Soro, ha detto che pur apprezzando le finalità dell’iniziativa, “non può non suscitare più di una preoccupazione in ordine al diritto alla protezione dei dati personali (spesso anche sensibili e giudiziari) degli interessati”. Il Garante ha dunque chiesto alla Corte di Cassazione di eliminare nomi, cognomi e ogni riferimento che riconduca all’identità delle persone coinvolte. Viene rispettata soltanto la privacy dei minorenni e dei cosiddetti soggetti deboli, ad esempio le vittime di reati sessuali.

Eppure la stessa Corte Suprema ha scritto che “L’apertura degli archivi delle sentenze civili e penali della Cassazione alla libera consultazione da parte del cittadino è coerente con l’obiettivo di rendere più trasparente e fruibile il servizio giustizia, perseguito nella realizzazione del nuovo sito; risponde inoltre ad una esigenza più volte segnalata dai cittadini ed in particolare dagli avvocati. Il sistema di ricerca sulle sentenze, in fase sperimentale, è intuitivo e non necessita di specifiche competenze giuridiche”.

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È vero, il motore di ricerca è agile e i filtri permettono – adesso non solo agli addetti ai lavori – a tutti i cittadini di consultare 159.398 documenti. Altri se ne aggiungeranno nel tempo. Discutibile invece la scelta del PDF, poco agile, “usabile” e “riusabile”. Un formato open sarebbe stato più appropriato. Ne è consapevole la stessa Corte, che nel sito precisa: “è allo studio l’utilizzazione, per la rappresentazione dei documenti contenuti nel sito, del formato internazionale XML Akoma Ntoso, già adottato da istituzioni nazionali e internazionali”.

Al di là delle considerazioni tecniche, la decisione della Cassazione è senz’altro da censurare. Già in passato il Garante per la privacy era dovuto intervenire nei confronti di altre amministrazioni pubbliche che avevano violato il diritto alla riservatezza dei dati personali. Trasparenza sì, ma con giudizio e rispetto nei confronti dei cittadini.

Pino Bruno

Scrivo per passione e per dovere, sono direttore di Tom's Hardware Italy, ho fatto il giornalista all'Ansa e alla Rai e scrivo di digital life per Mondadori Informatica e Sperling&Kupfer

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